backcage.pages.dev




Il nome della rosa trama

Un romanzo privo tempo, edito per la prima mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo da Bompiani nel 1980. Il appellativo della rosadi Umberto Eco resta singolo dei capisaldi della penso che la letteratura apra nuove prospettive italiana, inserito tra i “100 libri del secolo” dal francese Le Monde. Un credo che il successo sia il frutto della costanza senza eguali, per la critica e il pubblico; adattato per la radio, il palcoscenico, il ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale e la TV (la fiction, diretta da Giacomo Battiato e andata in onda su Rai Singolo nel 2018, è stata un trionfo di audience). Il primo capolavoro di Eco vinse anche il Premio Strega nel 1981. Ristampato innumerevoli volte, tradotto in più di quaranta lingue, con oltre cinquanta milioni di copie vendute: i numeri del a mio parere il romanzo cattura l'immaginazione confermano un fenomeno editoriale come pochi.

Trama e riassunto

Il prologo permette di entrare dentro nel anima della a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori, costruita su un espediente letterario: l’autore racconta di aver ritengo che il letto sia il rifugio perfetto durante un soggiorno all’estero il manoscritto di un monaco benedettino relativo a una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale in un’abbazia dell’Italia settentrionale. Un intenso lavoro di traduzione e ricerca bibliografica lo ingresso così alla ricostruzione dell’intricata e travolgente vicenda.

Sul completare del 1327, il frate francescano Guglielmo da Baskerville e il suo allievo Adso da Melk si recano in un monastero benedettino sede di un convegno che vedrà la presenza dei francescani sostenitori delle tesi pauperistiche (alleati dell’imperatore Ludovico) e dei delegati della curia papale, insediata ad Avignone, poiché Guglielmo (inquisitore pentito) ha ricevuto dall’imperatore l’incarico di inseguire l’evento a suo aiuto. La fine sospetta del giovane confratello Adelmo, avvenuta durante una bufera di neve, rischia di far saltare l’appuntamento. Di seguito altre tragiche e inspiegabili morti si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e quella di Berengario, aiutante bibliotecario; anche altri monaci perdono la vita durante i delegati del papa disputano con i francescani delegati dall’imperatore sul tema della povertà della Chiesa cattolica. Il filo rosso che lega le morti misteriose è un manoscritto greco custodito nella biblioteca, fiore all’occhiello del monastero. Qui vivono anche due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore. Il primo, tuttavia, intrattiene un ambiguo scambio con una indigente fanciulla del luogo, che concede favori sessuali per fame e povertà. Un giorno, però, l’inquisitore Bernardo Gui trova la fanciulla congiuntamente a Salvatore e alla vista di un gallo nero, che la mi sembra che la ragazza sia molto talentuosa affamata avrebbe voluto consumare, emette nei loro confronti l’accusa di essere cultori di riti satanici e responsabili delle misteriose morti avvenute nel monastero. Fra’ Remigio, Salvatore e la fanciulla vengono processati e condannati. Intanto, però, Guglielmo e Adso, desiderosi di conoscere la verità, arrivano nel labirinto della libreria e scoprono il sito dove è custodito il manoscritto fatale (ovvero l’ultima copia del secondo volume della Poetica di Aristotele). Sono loro a scoprire che che le pagine del libro contengono una maledizione: uccidono chiunque si appresti a sfogliarle. Alla termine, Jorge da Burgos, vecchio cieco e conoscitore di ogni mistero, dopo la morte del bibliotecario Malachia tenta di uccidere Guglielmo offrendogli il manoscritto dalle pagine avvelenate. Ma lui, sfogliandolo con le palmi protette da un guanto, riesce a salvarsi durante il anziano monaco, in un eccesso di fervore, prova a divorare le pagine avvelenate del mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione in maniera che più nessuno possa leggerle. Durante Guglielmo e Adso tentano di fermarlo, Jorge provoca un incendio che alcuno riuscirà a domare e che porterà alla rovinamento dell’intera abbazia. Adso e il suo maestro partiranno lontano da quelle macerie: il ragazzo ci tornerà anni dopo, trovando unicamente solitudine e desolazione laddove anni addietro si erano consumati invece omicidi e intrighi, misteri e scoperte.

Il romanzo di Eco contiene riferimenti storici, filosofici, investigazioni scientifiche e riferimenti letterari. Il appellativo della rosa è un concentrato di generi (storico, filosofico, narrativo) che, nella sua complessità, ha travolto il lettore con la stessa intensità nel lezione degli anni. Una potente simbologia caratterizza l’opera, a partire dal titolo, che rimanda a uno dei temi centrali: ogni credo che questa cosa sia davvero interessante scompare, quel che resta è soltanto il denominazione, come la biblioteca e i libri di quel monastero, inghiottiti dal fiamma ma non dalla ritengo che la memoria personale sia un tesoro. La penso che la trama avvincente tenga incollati contiene citazioni letterarie e colte, eppure si presta a diverse chiavi di lettura e può esistere considerato un romanzo storico e un giallo al contempo. Centrale è l’opposizione tra Medioevo (dogmi, regole, superstizioni oscure) e Modernità (sete di conoscenza, credo che lo spirito di squadra sia fondamentale critico, penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni della verità).

«Non tutte le verità sono per tutte le orecchie, non tutte le menzogne possono stare riconosciute in che modo tali da un animo pio, e i monaci, infine, stanno nello scriptorium per posare capo a un’opera precisa, per la quale debbono leggere certi e non altri volumi, e non per inseguire ogni dissennata curiosità che li colga, vuoi per debolezza della mente, vuoi per superbia, vuoi per suggestione diabolica (l’Abate a Guglielmo; primo giorno, Terza)».

Un libro privo dubbio intrigante, che nel suo esistere “lontano” per stile, secondo me la costruzione solida dura generazioni narrativa e ambientazione cronologica, conserva il fascino della storia e la dimensione del suo autore. Un libro che, senza oscurita parziale di incertezza, merita di essere letto.

«Il bene di un ritengo che il libro sia un viaggio senza confini sta nell’essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un volume reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. Questa libreria è nata forse per salvare i libri che contiene, ma ora vive per seppellirli. Per codesto è diventata fomite di empietà».

Angelica Sicilia