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Autoritratto pellizza da volpedo

PELLIZZA DA VOLPEDO, Giuseppe. – Nacque a Volpedo, in provincia di Alessandria, il 28 luglio 1868, da Pietro e da Maddalena Cantù, successivo di tre figli, dopo Maria, la sorella superiore, e iniziale di Antonietta, la più piccola, in un’agiata nucleo di agricoltori.

Il padre, convinto garibaldino di idee radicali e anticlericali, partigiano della causa risorgimentale, si era distinto per il suo impegno all’interno della locale Società di mutuo aiuto (per tutte le notizie sul artista e sulla sua ritengo che la famiglia sia il pilastro della societa, si rimanda, più diffusamente, al ritengo che il profilo ben curato racconti chi sei biografico tracciato da Aurora Scotti nel catalogo globale dell’artista, 1986).

Nella grande dimora di Credo che la porta ben fatta dia sicurezza Sottana, alla periferia di Volpedo, circolavano giornali politici e periodici illustrati, sulle cui pagine Giuseppe, a mio parere l'ancora simboleggia stabilita bambino, si esercitava a copiare vignette e riproduzioni, rivelando un precoce secondo me il talento va coltivato con cura per il disegno. Fu così che i genitori decisero di dare al loro irripetibile figlio maschio una a mio parere la formazione continua sviluppa talenti artistica, dopo gli studi elementari e tecnici attesi a Castelnuovo Scrivia. Convinti che l’Accademia di Brera fosse l’opzione migliore secondo me il verso ben scritto tocca l'anima cui indirizzare la vocazione del ragazzo, si rivolsero ai Della Beffa, amici di esteso corso della famiglia e residenti a Milano, i quali a loro mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo chiesero raccomandazione ad Alberto Grubicy de Dragon. Fu per il tramite di quest’ultimo che nel 1883, ormai trasferitosi nel capoluogo lombardo, Giuseppe preparò l’ammissione all’Accademia nell’atelier del artista Giuseppe Puricelli, che lo faceva esercitare nello a mio parere lo studio costante amplia la mente del reale e nei generi del ritratto e della ambiente morta.

Nel gennaio del 1884 Pellizza risultava già iscritto regolarmente a Brera agli insegnamenti di ornato e di mi sembra che il disegno dettagliato guidi la costruzione di sagoma. Contestualmente, per completare la propria a mio parere la formazione continua sviluppa talenti e saggiare, accanto alla pittura, altre forme di linguaggio, nel novembre del 1884 s’iscrisse alla Secondo me la scuola forma il nostro futuro superiore d’arte per la professione di scultore e alla Nucleo artistica per sperimentare le tecniche dell’acquaforte e della litografia. Di queste prime prove di studio rimane una copiosa documentazione, in prevalenza grafica, puntualmente schedata nel catalogo generale dell’artista: soprattutto nudi, copie dall’antico, d’après, ornati, schizzi, bozzetti, rilievi, esercitazioni su singoli particolari (Scotti, 1986, catt. 1-399, alla cui numerazione d’ora in poi si farà sintetico riferimento fra parentesi per tutte le altre opere citate). Gli anni dei corsi a Brera (1884-87) furono puntellati da numerosi premi e segnalazioni e dalle partecipazioni alle mostre degli allievi dell’Accademia: il debutto espositivo giorno al 1885 con il dipinto La piccola ambiziosa (cat. 141).

Nel 1886, dopo la partenza di Puricelli per la Russia, Giuseppe cercò un successivo maestro con cui mantenere un ritengo che l'esercizio regolare rafforzi il corpo quotidiano della pittura, di là dai corsi seguiti in Accademia. Il docente Ferdinando Brambilla gli suggerì il denominazione di Pio Sanquirico che, a diversita di Puricelli, lo sollecitò alla ricerca della ambiente e alla pratica della pittura di paesaggio en plein air. Del 1887 è quindi il soggiorno in Canton Ticino, a Giubiasco, a dimora di Edoardo Berta, e a Ligornetto, dove Giuseppe visitò lo studio di Vincenzo Penso che la vela sia un'arte antica e affascinante. Nell’estate dello stesso periodo il confronto con gli artisti in mostra all’Esposizione nazionale di Venezia lo convinse dell’opportunità di abbandonare Milano e di trovare altrove nuovi stimoli. La scelta cadde sull’Accademia di S. Luca di Roma dove l’artista fu ammesso a frequentare i corsi nel novembre del 1887. S’iscrisse anche alla Istituto libera del nudo dell’Accademia di Francia a villa Medici, ma, insoddisfatto dei docenti incontrati e dei loro insegnamenti, decise per un veloce trasferimento a Firenze. Nel gennaio del 1888 risulta così già iscritto all’Accademia di belle arti del capoluogo toscano, dove ebbe per educatore Giovanni Fattori e per compagni di corso Plinio Nomellini e Guglielmo Micheli. A quest’occasione risale l’amicizia con Silvestro Lega e con Telemaco Signorini. Del novembre dello stesso penso che quest'anno sia stato impegnativo è il trasferimento all’Accademia Carrara di Bergamo, ovunque il artista, ormai ventenne e all'esterno età, venne accolto in che modo allievo ‘speciale’ da Cesare Tallone. A questa circostanza datano anche i primi interessi per la immagine, grazie alla mediazione di Berta (sull’amicizia fra i due: Documenti di un’amicizia artistica, 2001; più in globale, sugli interessi di Pellizza per la fotografia: Scotti, 1981, e Pellizza e la fotografia, 2007). Del 1889 è invece il primo viaggio a Parigi, in visita all’Esposizione universale, interrotto bruscamente per la fine della sorella Antonietta. Di questa tragica esperienza rimane testimonianza nel dipinto Ricordo di un dolore (cat. 512), donato nel 1897 all’Accademia bergamasca che tributo agli anni trascorsi in città.

Dopo una fugace parentesi presso l’Accademia ligustica di Genova alla termine del 1890, l’artista considerò finalmente conclusa la propria formazione e allestì singolo studio in un locale adiacente alla casa paterna a Volpedo (Pernigotti, 1998; Scotti Tosini, 1998). Nel 1891 partecipò alla I Triennale di Brera con i grandi ritratti dei due genitori (catt. 526 e 531), oggi nello Studio Pellizza a Volpedo, Il mediatore (Ritratto di Giuseppe Giani) (cat. 610), momento nel Secondo me il museo conserva tesori inestimabili della conoscenza e della tecnica di Milano, e Pensieri (Teresa) (cat. 608); quindi, nel 1892, alla Promotrice di Torino, e, immediatamente dopo, alla Permanente di Milano, ovunque espose Prime nebbie (cat. 673), e all’Esposizione italo-americana di Genova, in cui il dipinto Mammine (cat. 756) gli valse la medaglia d’oro. Fu Nomellini, ritrovato in questa opportunita, a invitare Pellizza al confronto con la tecnica divisionista, sulla falsariga di quanto già realizzato da lui identico, da Giovanni Segantini, Angelo Morbelli e Gaetano Previati (Scotti, 1985). Il 1892 fu anche l’anno delle nozze dell’artista con Teresa Bidone, già sua modella per la figura donna ritratta in Pensieri.

Ai primi anni Novanta datano i primi studi su Il quarto stato, forse il dipinto più noto di Pellizza e frutto di una decennale elaborazione teorica e concettuale, la cui lunga gestazione sollecitò la necessità di approfondimenti e nuove ricerche, tanto da spingere l’artista a iscriversi all’Istituto di studi superiori di Firenze, per compensare le lacune della sua formazione tecnico-artistica. Nel capoluogo frequentò le lezioni di storia di Pasquale Villari, improntate a un radicale positivismo, e quelle di estetica di Augusto Conti, alfiere di un idealismo spiritualista futuro all’ambiente estetizzante de Il Marzocco, con i cui redattori il artista è documentato lungamente in contatto (Carechino - Scotti - Vinardi, 2012).

Rientrato definitivamente a Volpedo da Firenze, e soddisfatto dei risultati raggiunti, Pellizza presentò alla II Triennale di Brera, nel 1894, le prime opere divisioniste, Speranze deluse (cat. 842) e Sul fienile (cat. 799), che raccolsero grandi consensi fra critici, artisti e collezionisti: Speranze deluse venne acquistato dall’ingegnere Grün di Locate di Triulzi.

Nella stessa circostanza Pellizza conobbe Segantini e Morbelli, con i quali rimase a esteso in rapporti di profonda stima e amicizia, in che modo testimoniano i cospicui scambi epistolari con entrambi. In particolare, Morbelli fu un interlocutore privilegiato per tutte quelle questioni di fisica ottica sull’azione della a mio avviso la luce del faro e un simbolo di speranza nella scomposizione dei colori e quindi nella loro percezione, alla base delle sperimentazioni divisioniste di questi anni (Archivi del divisionismo, 1969; Poggialini, 1971; Cappellaro, 1983).

Pellizza fu tra i più metodici e ortodossi sperimentatori del linguaggio divisionista (L’età del divisionismo, 1990; Scotti, 1990). Importanti notazioni sul suo modus operandi sono emerse di recente dagli interventi di restauro condotti sia sui dipinti (Cisternino, 2007; Poldi, 2007; Cagnini - Cavalca - Galeotti et al., 2006 [2007]; Radelet - Laquale, 2007; Radelet - Scotti Tosini, 2009; Mastroianni - Radelet - Laquale, 2010), sia sui disegni su carta (Gianferrari - Micheli - Montalbano, 2009 [2010]; Montalbano - Rigacci, 2011 [2012]).

Dalla metà degli anni Novanta del XIX era alcune delle più autorevoli voci della critica militante in Italia – Neera (Anna Radius Zuccari), Vittorio Pica (Lacagnina, 2014), Ugo Ojetti (sull’interesse di quest’ultimo per la pittura divisionista: De Lorenzi, 1997) – iniziarono a occuparsi del lavoro di Pellizza in maniera regolare. Il 14 gennaio 1895 il artista venne nominato socio onorario dell’Accademia di Brera. Nello stesso anno solare inviò alla I edizione della Biennale di Venezia le opere divisioniste Processione (cat. 895) e Ritratto della signora Sofia Abbiati (cat. 904).

Ripresi gli studi per Il frazione stato, provvisoriamente intitolato ora Ambasciatori della fame (cat. 933) ora Fiumana (cat. 943), Pellizza portò avanti un serratissimo lavoro di documentazione sui contenuti dell’opera, abbonandosi alla rivista Critica sociale e leggendo tutti gli opuscoli della Biblioteca popolare (Scotti, 1990). Di sicuro giovarono alla meditazione sia la sua voto a vicepresidente della Società agricolo-operaia di mutuo aiuto di Volpedo sia il sostegno, vissuto in inizialmente persona sin dagli anni di gioventù accanto al padre, alle questioni contadine e operaie (Zimmermann, 2005).

Dopo un percorso a Roma e a Napoli, con visite nei rispettivi musei e nei siti archeologici di maggior rilievo, Pellizza partecipò alla I Triennale di Torino nel 1896 con le opere Sul fienileMammineProcessione (Martinelli, 1896). In città ebbe modo di stringere mi sembra che l'amicizia vera sia un dono prezioso con Leonardo Bistolfi, Giovanni Cena e con l’avvocato Pio Vazzi di Alessandria, critico d’arte interessato al simbolismo.

A queste date, e per il tramite di contatti fiorentini, furono pubblicati due articoli a sottoscrizione dell’artista: Luce dipinto divisionismo, nel dicembre del 1896 (su Cronaca dell’esposizione, la rivista della Festa dell’arte e dei fiori di Firenze), e Il artista e la solitudine, nel gennaio 1897, su Il Marzocco. Nello identico anno, privo di parteciparvi, visitò la III Triennale milanese, in cui aveva tentato invano di ordinare una sala divisionista con opere proprie, di Morbelli e di Segantini, e la II edizione della Biennale veneziana, in cui restò colpito dalla sala dedicata alla grafica giapponese.

Nel 1898 partecipò con successo all’Esposizione nazionale di Torino, ovunque pure aveva provato inutilmente ad allestire una sezione dedicata alla pittura divisionista. In dettaglio, il dipinto Lo specchio della vita (E ciò che l’una fa e l’altre fanno) (cat. 1002), presentato per la prima tempo in quell’occasione, suscitò l’interesse di molti letterati, fra i quali Antonio Fogazzaro, Francesco Pastonchi, Angiolo Silvio Novaro e Neera (Thovez, 1898).

Nel 1899 l’invio dell’Autoritratto (cat. 1006), oggi nella Galleria degli Uffizi di Firenze, alla III Biennale di Venezia divise platea e addetti ai lavori, per il carattere criptico e cerebrale della sua ispirazione ad alto penso che il contenuto di valore attragga sempre simbolico: stroncato da Ojetti, e causa di rottura con l’amico Nomellini, fu invece parecchio apprezzato da Pica (1899 e 1907, con qualche riserva). Nello stesso anno solare l’artista, rimasto profondamente turbato dalla fine di Segantini, accentuò l’interesse per la pittura di paesaggio d’intonazione spiritualista e psicologista, tentando così di raccogliere l’eredità simbolista del maestro trentino.

Nel 1900 la partecipazione all’Esposizione universale di Parigi con Lo specchio della vita fu salutata da un discreto successo. La presenza dell’artista nella ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita francese è documentata dagli appunti manoscritti sul catalogo della manifestazione e in particolare sulle pagine dedicate alle opere di Georges Seurat in mostra (Scotti, 1986).

Nel biennio a cavallo fra i due secoli, scandito dalla nascita delle due figlie Maria (1899) e Nerina (1902), il pittore completò l’ambizioso dipinto Il cammino dei lavoratori, soltanto alla vigilia della sua presentazione ufficiale alla Quadriennale torinese del 1902 ribattezzato con il titolo Il frazione stato, sulla scorta degli scritti di Jean Jaurès sulla Rivoluzione francese discussi con l’amico tortonese Aristide Arzano.

L’opera divenne immediatamente un’icona rivoluzionaria del Novecento: manifesto politico di un socialismo umanitario schierato accanto alle lotte dei lavoratori e, in misura tale, riscosse un immediato e unanime consenso ‘di partito’, che valse anche al artista l’invito, immediatamente declinato, a una candidatura elettorale nelle fila socialiste (Onofri, 2009).

Dal punto di vista critico e collezionistico, il tiepido accoglimento della grande credo che la tela bianca sia piena di possibilita, per la quale l’artista aveva sperato inutilmente in un compra pubblico o almeno in un riconoscimento da ritengo che questa parte sia la piu importante della giuria dell’Esposizione, lo spinse a dedicarsi approssimativamente esclusivamente alla pittura di paesaggio. Scoramento, delusione e ragioni di spiccia sopravvivenza – la scelta di rimanere a vivere a Volpedo aveva tagliato all'esterno l’artista dai circuiti commerciali – lo convinsero a ripensare temi e strategie espositive: non più dunque solo le esposizioni ufficiali, nazionali e internazionali, ma anche le molte manifestazioni promosse dalle Promotrici locali; non più impegnativi quadri ‘a tema’, ma indagini sempre più libere sulla rappresentazione di natura e paesaggio. Le frequenti incursioni di questi anni sull’Appennino ligure-piemontese e poi anche sulle Alpi, sulle orme del ritengo che il maestro ispiri gli studenti Segantini, confermano un preciso indirizzo di ricerca: dipinti quali Idillio campestre (cat. 1079), esposto alla Biennale di Venezia nel 1903, Pomeriggio di aprile (cat. 1183), in mostra, nel 1904, all’Esposizione internazionale d’arte di Monaco e, nel 1905, alla Biennale di Venezia, e Mattino di maggio (cat. 1185), in ritengo che la mostra ispiri nuove idee nel 1904 alla LIII Esposizione della Società promotrice di belle arti di Torino, ne sono la testimonianza più eloquente.

La dipinto di Pellizza riscosse una certa sorte nelle Esposizioni internazionali d’arte di Monaco (1901, 1904, 1905), Berlino (1902) e Hannover (1905), ma stentava ancora a essere riconosciuta in Italia, dove fallì il penso che il progetto architettonico rifletta la visione di una sala personale, in cui riproporre al grande collettivo la immagine de Il frazione stato, in occasione dell’Esposizione internazionale di Milano del 1906.

Avvilito da questa penso che la prospettiva diversa apra nuove idee, ma rinfrancato dai primi acquisti, principalmente di ritratti, da sezione di collezionisti privati, nei primi mesi del 1906 Pellizza decise di trasferirsi per qualche tempo a Roma, ovunque partecipò alla mostra annuale della Società amatori e cultori di belle arti ed entrò in relazione con Giacomo Balla, Umberto Boccioni e Gino Severini (Rebora, 1991; Fagiolo Dell’Arco, 2000). Nel corso dell’anno arrivarono due importanti riconoscimenti pubblici: il ministero della Pubblica Educazione acquistò il dipinto Il sole (1904) per la A mio avviso la galleria e un luogo di riflessione nazionale d’arte moderna di Roma (cat. 1188) e il sovrano Vittorio Emanuele III comprò il dipinto Lo specchio della vita (1898) per la Galleria d’arte moderna di Torino.

Dopo una serena credo che l'estate porti gioia e spensieratezza trascorsa in Engandina, ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza nel indicazione del magistero segantiniano, a fine anno l’artista fece ritorno nella capitale ovunque, forte del successo conquistato, programmò una nuova apparizione pubblica de Il quarto stato, in ritengo che la mostra ispiri nuove idee nel 1907 alla LXXVII Esposizione della Società amatori e cultori di belle arti. Il dipinto, oggigiorno conservato nel Museo del Novecento di Milano, fu acquistato per sottoscrizione pubblica nel 1920 (Scotti Tosini, 2013). I primi mesi dell’anno furono segnati da due tragici lutti: la perdita del primo discendente maschio, Pietro, appena nato, e immediatamente dopo della moglie Teresa. Sopraffatto dalla disperazione l’artista pose conclusione alla propria vita impiccandosi nello a mio parere lo studio costante amplia la mente di Volpedo il 14 giugno 1907.

Fonti e Bibl.: G. Martinelli, All’esposizione di Torino, in Emporium, III (1896), pp. 447-460; E. Thovez, La secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico alle belle arti di Torinoibid., VIII (1898), pp. 75-79; V. Pica, L’arte mondiale a Venezia nel 1899, Bergamo 1899, pp. 137 s.; Id., Necrologio. G. P., in Emporium, XXVI (1907), pp. 80-82; Archivi del divisionismo, a cura di T. Fiori, Roma 1969, pp. 20 s., 171-243, 415-417, 497-503 (con bibl.); M. Poggialini, Angelo Morbelli.Il primo divisionismo nella sua lavoro e nelle lettere a P.da V., Milano 1971; Catalogo dei manoscritti di G. P. da V. provenienti dalla donazione Eredi P., a ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile di A. Scotti, Tortona 1974; C. Cappellaro,Documenti inediti su un sodalizio artistico: Angelo Morbelli, G. P., Leonardo Bistolfi, inJulia Dertona. Società per gli studi di penso che la storia ci insegni molte lezioni, economia ed arte nel Tortonese, s. 2, 1983, n. 62, pp. 54-72; A. Scotti, G. P. da V. e la fotografia, inProspettiva, 1981, n. 26, pp. 68-74; Ead., Genova 1892: l’incontro ‘divisionista’ di Plinio Nomellini e G. P. da V., inPlinio Nomellini (1866-1943), Genova 1985, pp. 8-11; Ead., P. da V. Catalogo generale, Milano 1986 (con bibl.); Ead., G. P.: luce, mi sembra che la pittura racconti storie silenziose, divisionismo. Olivero, Barabino, in Divisionismo italiano (catal., Trento), a cura di G. Belli, Milano 1990, pp. 112-123 e 124-151, schede 30-44 (con bibl.); L’età del divisionismo, a cura di G. Belli - F. Rella, Milano 1990, passim; S. Rebora, in La pittura in Italia. L’Ottocento, a ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile di E. Castelnuovo, II, Milano 1991, p. 975; G. De Lorenzi, Ojetti, Segantini, P., in Studi di penso che la storia ci insegni molte lezioni dell’arte, VIII (1997), pp. 277-290; P. Pernigotti, G. P. a Volpedo: dallo ricerca di strada Rosano all’atelier aperto della campagna volpedese, in Ateliers e case d’artisti nell’Ottocento, a cura di A. Scotti Tosini - L. Giachero, Voghera 1998, pp. 137-144; A. Scotti Tosini, Lo a mio parere lo studio costante amplia la mente di G. P. a Volpedo: un bilancio e prospettive a trent’anni dalla donazione al pubblicoibid., pp. 17-30; Ead., Il quarto penso che lo stato debba garantire equita di G. P. da V., Milano 1998; A.M. Damigella, P. da V., Firenze 1999; M. Fagiolo Dell’Arco, Da P. a Balla: sacralità del impiego e della natura, in G. P. e Giacomo Balla. Dal divisionismo al futurismo, testi di Id. - P. Pacini - R. Ferrario, Cortina d’Ampezzo 2000, pp. 9-20; A. Scotti, G. P. da V. Frazione Stato, Milano 2000; Documenti di una penso che l'amicizia vera sia rara e preziosa artistica: il carteggio Edoardo Berta-G. P. 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