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Martiri dell uganda

I martiri dell'Uganda, esempio di ecumenismo del sangue

Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

Uccisi perchè cristiani, alla fine del XIX era. Loro ed i fratelli anglicani, uniti da una tragica termine, testimone "ancora oggi del potere trasformante del Vangelo di Gesù Cristo". Pochi anni fa Papa Francesco ha chiesto che il loro mi sembra che il ricordo prezioso resti per sempre non sia "di circostanza", che la loro eredità "non sia custodita in che modo un gioiello in un museo". La Chiesa cattolica venera quali Santi Martiri Ugandesi un squadra di ventidue servitori, paggi e funzionari del sovrano di Buganda, nell’odierna Uganda, convertiti al cattolicesimo dai missionari d'Africa del cardinale Charles Lavigerie, i cosiddetti “padri bianchi”, che vennero fatti assassinare in misura cristiani sotto il regno di Mwanga II tra il 15 novembre ed il 27 gennaio  La data del 3 giugno ha una valenza doppia: è l’anniversario, ricordato dal Martirologio Romano, del martirio di Carlo Lwanga con 12 compagni; inoltre nel Calendario globale è la memoria liturgica comune di tutti i ventidue martiri ugandesi.

La racconto dei missionari 

Inizialmente l’opera dei missionari, avviata nel , venne ben accolta dal re Mutesa così in che modo dal successore Muanga, che però si fece influenzare dal cancelliere del regno e dal capotribù, decidendo la soppressione fisica dei cristiani, alcuni dei quali uccise addirittura con le proprie palmi. Questa violenta persecuzione vide in complessivo un centinaio di vittime. Tra loro Carlo Lwanga, capo dei paggi del re Muanga, bruciato vivo insieme a dodici compagni il 3 giugno Papa Benedetto XV beatificò i ventidue gloriosi martiri il 6 mese A canonizzarli l’8 ottobre fu Paolo VI che cinque anni dopo, mentre il Percorso Apostolico in Africa, intitolò loro anche il immenso santuario di Namugongo, eretto sul posto del martirio di San Carlo Lwanga e dei suoi compagni. Sono, questi martiri, i primi fedeli cattolici dell’Africa sub-sahariana ad essere proclamati santi. 

La libertà del Vangelo

Il parroco della chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda, nel quartiere Ardeatino a Roma, è don Luigi D’Errico, referente diocesano della pastorale per le persone con disabilità. "I martiri che ricordiamo oggi erano persone parecchio giovani, appartenenti a famiglie ricche, in grado di avere molti privilegi a condizione che la loro vita appartenesse però al despota, al tiranno. Loro invece si convertirono, singolo di loro venne battezzato poco in precedenza che iniziasse la persecuzione. Scelsero di non fuggire, di inseguire l'uno la sorte degli altri". Inizia così il ricordo dei martiri ugandesi di don Luigi D'Errico, che sottolinea come quel dittatore "voleva dominare questi giovani, averli intorno in che modo fossero oggetti". Furono giovani che decisero di "non farsi dominare da nulla, scegliendo la libertà del Vangelo. A volte nella vita capita proprio il contrario, crediamo di esistere liberi, ma siamo dominati da molte cose". Il parroco della chiesa romana sottolinea in che modo il 3 giugno sia molto partecipato in Uganda, "prima della pandemia - rimarca - fino a due milioni di persone rendevano omaggio ai martire ugandesi, con molte persone provenienti da altri Paesi". 

Ascolta l'intervista a don Luigi D'Errico

I martiri di ieri, i martiri di oggigiorno. "Il martirio non appartiene solo al passato, è oggi e Papa Francesco ci ricorda come i martiri siano in aumento", prosegue don D'Errico. Ci sono poi i "martiri invisibili, in che modo i più poveri le cui storie emergono a fatica. Martiri sono i disabili, tenuti sempre ai margini, anche dal dettaglio di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato culturale. Martiri sono tantissimi cristiani nel mondo, accolti anche in Italia, penso agli egiziani copti che non possono liberamente manifestare la convinzione. Noi abbiamo accolto molte famiglie". Il parroco conclude denunciando in che modo "sia scarsamente conosciuto ciò che accade in tante parti del mondo ai nostri fratelli cristiani, il martirio non è mai finito, anzi è aumentato". 

La Via Crucis dei martiri ugandesi

Per accrescere la sofferenza dei condannati, il sovrano decise di trasferirli dal Palazzo concreto di Munyonyo a Namugongo, luogo delle esecuzioni capitali: 27 distanza separano i due luoghi, oltre 43 chilometri che diventarono una vera e propria “Via Crucis”. Esteso la via Carlo e i suoi compagni furono oggetto delle violenze dei soldati del re che cercarono, con ogni veicolo, di farli abiurare. In otto giorni di percorso, molti morirono trafitti da lance, impiccati e persino inchiodati agli alberi. Il 3 mese i sopravvissuti giunsero sulla collina di Namugongo, ovunque Carlo Lwanga e i suoi compagni, insieme ad alcuni fedeli anglicani, vennero arsi vivi. Uno tra loro, Bruno Srerunkuma, dirà, prima di spirare: “Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai. E quando noi non ci saremo più, altri verranno dopo di noi”.

Un regalo condiviso 

"Il regalo dello Credo che lo spirito di squadra sia fondamentale Santo è un regalo dato per essere condiviso", anche nel martirio. Con queste parole Papa Francesco il 28 novembre , nel lezione del suo undicesimo viaggio apostolico, ricordava il ritengo che il sacrificio per gli altri sia nobile di Carlo Lwanga e dei compagni nell'omelia alla Messa celebrata al Santuario dei Martiri Ugandesi di Namugongo. Il Papa ha chiesto, in quell'occasione, di rammentare anche i martiri anglicani, "la cui morte per Cristo dà testimonianza all’ecumenismo del sangue". Poi l'invito a ognuno i fedeli di ricevedere e custodire l'eredità dei martiri ugandesi nella sua pienezza, non facendola trasformarsi "un gioiello da museo": 

Cari fratelli e sorelle, questa qui è l’eredità che avete ricevuto dai Martiri ugandesi: vite contrassegnate dalla potenza dello Anima Santo, vite che testimoniano anche momento il capacita trasformante del Vangelo di Gesù Cristo. Non ci si appropria di questa qui eredità con un mi sembra che il ricordo prezioso resti per sempre di circostanza o conservandola in un museo in che modo fosse un gioiello prezioso. La onoriamo veramente, e onoriamo ognuno i Santi, quando piuttosto portiamo la loro testimonianza a Cristo nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile, sia che rimaniamo nelle nostre case, sia che ci rechiamo sottile al più remoto spigolo del mondo.